PSICOLOGIA INVERSA: antistress o pericoloso inganno?

Psicologia Inversa
La psicologia inversa (o contraria) è una tecnica psicologica di convincimento, che può essere utilizzata sugli altri come su noi stessi con esiti a volte benèfici sulla prestazione.  Ma, per evitare che si trasformi in un boomerang, va applicata con attenzione e solo in determinati contesti. Vediamone i pro e i contro.

La psicologia inversa (o contraria) è una tecnica psicologica di convincimento, che può essere utilizzata sugli altri come su noi stessi con esiti a volte benèfici sulla prestazione.  Ma, per evitare che si trasformi in un boomerang, va applicata con attenzione e solo in determinati contesti. Vediamone i pro e i contro.

UN ESEMPIO DAL MONDO DELLO SPORT

Un esempio dal mondo dello sport arriva da Rafael Nadal, come recentemente ha sottolineato il tennista greco Tsitsipas in un’intervista: “Quando dice che non può giocare per i suoi noti problemi al piede, Nadal ti sta praticamente minacciando: quando è in situazioni difficili, ci mette un livello di intensità tale che gareggiare con lui è ancora più complicato”.

L’esempio di Nadal è un tipico caso di self-help, che abbassa l’asticella delle aspettative sulla sua performance. In ogni prova, che sia un provino, un esame, una gara, fa bene ricordare a noi stessi che possono esserci degli ostacoli indipendenti dalla nostra volontà. Per Nadal il piede infortunato, per noi la difficoltà di un compito, gli avversari molto preparati, lo slittamento improvviso di una competizione.

Per effetto di questo alibi funzionale, l’ansia da prestazione tende a flettersi, abbassando anche la pressione di sbagliare e fallire, rendendoci più leggeri verso la meta.

Utilizzata in questo senso, la psicologia inversa riduce la pressione legata al risultato, con l’esito di farci performare meglio. Se ci diamo delle possibilità di successo contenute, non percepiamo i nostri sforzi come inutili e ci proteggiamo dalle possibili delusioni, che sono sempre invalidanti sullo stimolo a ripartire e a portare a casa l’obiettivo che ci sta a cuore.

I RISCHI

Se è vero che la psicologia inversa può essere un meccanismo di autodifesa, va detto anche che presenta dei rischi e non è applicabile in ogni circostanza. Infatti, se di fronte a una sfida ci riempiamo sistematicamente la testa di frasi invertite (non ce la farò mai, ho male alla schiena, la mia attrezzatura non è settata al meglio) finiremo per cadere nella trappola della demotivazione e della rinuncia.

Ripetersi continuamente di non essere pronti al 100% è molto diverso dal caricarsi con qualche piccolo alibi funzionale, come per esempio: “non conosco bene l’avversario”, “sono bravo, ma le competenze richieste sono altre”, “questa non è la mia pista”.

Di fatto, la psicologia inversa funziona solo se già in partenza la nostra autostima è solida e tale rimane al di là del risultato della sfida che abbiamo di fronte. Possiamo usarla se abbiamo una comprovata esperienza di quel tipo di prestazione (self-efficacy alta) e, soprattutto, se puntiamo a un obiettivo chiaro. Siamo, cioè, in equilibrio tra la consapevolezza del nostro valore e la mutevolezza/imprevedibilità del contesto in cui dovremo performare.

Nadal conosce perfettamente il suo valore, ma in gara alleggerisce la pressione dicendosi “non sto benissimo, è probabile che questa volta non vinca”. Ma ne è davvero convinto? Lo storico dei risultati garantisce per lui!

SE LA SFIDA È INEDITA

Sulla base di quanto abbiamo appena visto, dunque, autostima e self-efficacy alte sono i requisiti indispensabili per poter ricorrere, in circoscritte situazioni, alla psicologia inversa.

Se invece dobbiamo affrontare una sfida inedita è sicuramente preferibile spostare la nostra attenzione sulla Positive Psychology: dialogo interno positivo e motivante, check sui nostri punti di forza, spostamento del focus dal risultato alla prestazione, alle azioni da compiere, al piano gara.

LA TEORIA DELLA REATTANZA

La psicologia inversa è conosciuta soprattutto come una metodica di persuasione indiretta sugli altri. Si fa o si dice qualcosa che è l’opposto di quello che desideriamo che una persona faccia, in modo da portarla dalla nostra parte.

Divieti e obblighi non piacciono a nessuno,  si tende a rifuggirli per affermare la propria autonomia e  la psicologia inversa fa leva proprio sull’impulso ribelle delle persone (teoria della reattanza).

Ad esempio, dire a un adolescente: “Anche se non studi per me è lo stesso”, invece di forzarlo sui libri con obblighi e prediche, può avere maggiori probabilità di successo. Mettersi sui libri diventerà una scelta di affermazione di autonomia e di opposizione all’indifferenza del genitore.

CONCLUSIONE

A piccole dosi e in circoscritti contesti che esigono una pronta soluzione, la psicologia inversa può semplificare la vita. Invece, adottarla come stile comportamentale è un inganno controproducente, sia nel caso di applicazione su noi stessi, sia come utilizzo sistematico sugli altri, per sfruttarne le debolezze a nostro vantaggio.

Nel dubbio, è sempre meglio essere onesti verso se stessi e gli altri. A dispetto delle eventuali difficoltà iniziali, questo ci consentirà di adottare delle strategie comportamentali molto più funzionali e durature, anche a lungo termine.

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