Appena compiuti i 60 anni, lo scorso 25 novembre Diego A. Maradona ci ha lasciato. La triste notizia della prematura scomparsa si è diffusa su scala mondiale alla velocità del lampo, dribblando tutto quello che trovava davanti a sé, proprio come era solito fare Maradona e come fece nell’iconico goal all’Inghilterra nel mondiale di Messico 86’. In tutti e cinque i continenti si sono susseguite cerimonie pubbliche e private, rituali di vario genere e omaggi. A Buenos Aires, per la prima volta il funerale di un atleta è stato celebrato presso Casa Rosada, la sede del governo argentino. Ne hanno parlato capi di stato da ogni latitudine, il Papa gli ha dedicato delle parole, gli All Blacks hanno stupito il mondo inserendo nell’haka un inedito gesto simbolico, il capitano neozelandese ha depositato sul campo di gioco una maglia all black con la scritta Maradona.
Senza ombra di dubbio il fatto di essere stato un riferimento assoluto dello sport più popolare del pianeta ha notevolmente agevolato la portata mediatica della sua figura carismatica, che si è poi capillarmente diffusa, attraverso il linguaggio universale del gioco e dello sport.
Ma non è certo sugli aspetti sociali, mediatici, economici o addirittura politici che in questa sede ci interessa discutere. E non è nemmeno sui controversi lati del suo comportamento in ambito privato, chiaramente inscindibili dalla figura del ribelle e trasgressivo personaggio a cui ci ha abituato in diverse fasi della sua esistenza. Piuttosto tali considerazioni sarebbero attinenti a uno studio di caso centrato sulla struttura della sua complessa personalità e sulle sue modalità di funzionamento.
Che cosa può invece dirci la Psicologia dello Sport su Maradona? Proviamo ad applicare quindi il patrimonio di esperienze e conoscenze teorico-pratiche che la nostra disciplina ormai ha accumulato rispetto alla struttura e alle dinamiche di quella complessa creatura che è la squadra sportiva
(Nascimbene, 2020, ndr).
Dagli studi di Psicologia dei Gruppi di Lavoro, tra cui chiaramente vi è anche la squadra sportiva, sappiamo che nella struttura di una squadra sono importanti i cosiddetti ruoli orientati al compito o ruoli di locomozione (Nascimbene, 2002, ndr), ovvero quelle funzioni tecnico-atletiche-mentali associate ai compiti che devono essere svolti perché lo schema di gioco o modulo possa avere un buon rendimento collettivo. Così, il portiere avrà caratteristiche fisiche, tecniche e mentali strettamente associate al suo ruolo specifico in campo, che saranno naturalmente molto diverse, ad esempio, da quelle connesse al ruolo del centravanti. I ruoli di locomozione dei diversi componenti della squadra dovranno poi essere allenati nella loro fluida e dinamica interazione, in modo tale che gli schemi di gioco vedano una proficua partecipazione di tutti. Come giocatore, Diego Armando Maradona eccelleva in ognuna di queste sfumature: fortissimo nella tecnica individuale, nella visione di gioco, nella capacità di andare a segnare e di far segnare gli altri.
Però nel funzionamento di squadra vi sono dei ruoli altrettanto fondamentali, i cosiddetti ruoli di costituzione o di mantenimento. Questi sono riferiti alle caratteristiche personali e relazionali di cui sono portatori i giocatori membri di una squadra. Il trascinatore, il mediatore, lo scherzoso (che sdrammatizza situazioni critiche oppure promuove momenti di relax e divertimento), l’ascoltatore (quello più portato ad accogliere, comprendere e supportare chi è in difficoltà), il gregario (e purtroppo anche il capro espiatorio), sono tutti tipici ruoli di mantenimentodella squadra. Mentre i ruoli di locomozione informano sull’aspetto più razionale e tecnico del funzionamento di squadra, quelli di mantenimento sono associati all’emotività e ai legami affettivi che possono intercorrere all’interno delle dinamiche di squadra (tipicamente gruppetti di amici all’interno della squadra).
Così in una squadra funzionante troviamo sia leader di locomozione che leader di mantenimento: i primi i punti di riferimento dal punto di vista calcistico, i secondi quelli più influenti come personalità, comportamento e soft skills come le capacità comunicative, di ascolto e di gestione dei momenti di alto stress come certi pre-partita.
Negli sport di squadra si dice che il capitano deve essere un leader di mantenimento ma non necessariamente di locomozione.
Per quanto possa essere bravo e anche bravissimo nel suo ruolo in campo, quello che deve contraddistinguere il capitano è il suo lato umano, la sua personalità intesa come capacità di intercettare gli umori e i bisogni dei giocatori, di parlarne e di indirizzarli, di accoglierli e farsene portavoce con specifici interlocutori: il capitano deve farsi sentire e saper parlare, oltre che con i propri compagni, con il mister, con l’arbitro, e con il capitano / i giocatori della squadra avversaria. Il capitano dà l’esempio di comportamento in allenamento e in partita, è un leader che scende in campo assieme ai compagni di squadra e mette la faccia quando c’è da affrontare avversità e fatica. Sulle due sponde di questa città (Milano, ndr) abbiamo avuto da una parte Maldini e dall’altra Zanetti, entrambi senz’altro grandi giocatori (accompagnati però da vere star del calcio, leader di locomozione come Van Basten, Gullit, Baggio e Ronaldo) ma soprattutto degli ottimi capitani pronti a dare l’esempio, farsi rispettare e interloquire con le figure tecniche, arbitrali e sportive del caso.
Capitan Maradona è stato uno dei casi unici di leader che riassumeva in sé sia la leadership di locomozione che quella di mantenimento (al netto, come detto sopra di alcuni controversi comportamenti privati). Un leader calcistico e carismatico, dotato di raziocinio e creatività, agonismo e follia.
Ma, forse, è la dimensione del giocatore quella che ci ha più segnati: quel motivo primario, quella motivazione intrinseca che è motore dello sport, ma che così spesso viene persa lungo la strada dell’agonismo: il piacere del gioco, il gusto del divertimento, il gusto dell’apprendere con curiosità. Maradona rappresenta in tal senso un’infanzia sempre gioiosa nell’atto del prendere il pallone-giocattolo, di farlo rimbalzare e girare all’infinito, portandolo a percorrere traiettorie impossibili (chi non ricorda il calcio di punizione a pochissimi metri dalla porta protetta dal povero Tacconi, rimasto impietrito a fronte del volo improbabile della palla oltre la barriera juventina?). Se vi rimanessero dei dubbi, vi invito a guardare il filmato del riscaldamento, al ritmo della canzone “Life is life” alla finale della Coppa UEFA del 1989 contro il Bayern Monaco… cosa non fa quel leader unico di nome Diego Armando Maradona?
Flavio Nascimbene
Psicologo e Psicoterapeuta,
Docente al Master MAPS del Centro Studi. Esperto in Psicologia dello Sport. Professore presso l’Università Cattolica di Milano. Ha coordinato il progetto di Psicologia dello Sport dell’Ordine Psicologi Lombardia.
Docente per i Corsi UEFA della FIGC Lombardia.