“Tutti contano su di me, non posso abbassare la guardia”
Quante volte questa frase si ripete nella mente di un ciclista professionista? Infinite, ad ogni singola performance! Anche perché più sali di livello e più devi dimostrare di esserne all’altezza. Ecco che allora non può più esistere il 99%, ma solo il 100%…ah dimenticavo, per 12 mesi l’anno!
Nel ciclismo alla pressione agonistica si lega in modo preponderante la pressione degli sponsor, i quali richiedono, ovviamente, la massima visibilità; a tutto questo si aggiungono gli aumenti di budget, l’incremento degli ingaggi per i corridori di prima fascia, i ritiri sempre più lunghi ed una richiesta incessante di competitività. Risultato? Le Pressioni esterne, e di conseguenza interne, sempre più elevate che inevitabilmente impattano sui livelli di distress (o stress negativo) degli atleti, sulla loro capacità di gestione emotiva e sulla motivazione.
Inoltre, avere la consapevolezza che dalle proprie prestazioni dipende la sorte e la sopravvivenza del proprio team alimenta aspettative molto più elevate e talvolta irrealistiche. L’unico focus dell’atleta diventa il soddisfarle, così da dimostrare agli altri e a se stessi di essere all’altezza del ruolo. Quanto si è disposti a sacrificare per mantenerle? Cosa accade quando non ci riusciamo?
In questa cornice, diventa emblematico il ritiro recentissimo di Tom Dumoulin, che a soli 30 anni, ha annunciato di volersi prendere una pausa dal ciclismo. Una decisione che fa molto rumore per la caratura dell’atleta: corridore con un palmares molto prestigioso e uno dei capitani della Jumbo-Visma.
“E’ come se uno zaino di cento chili mi fosse scivolato dalle spalle. Ho preso la decisione di prendere un po’ di tempo per me stesso. Lo pensavo da tempo, sentivo quanto fosse difficile per me ritrovarmi come Tom Dumoulin il ciclista, con la pressione che ne consegue e le aspettative che arrivano da più parti. Volevo fare molto bene per molte persone: volevo che la mia squadra fosse felice, che gli sponsor fossero felici… volevo che mia moglie e la mia famiglia fossero felici. Quindi voglio fare bene per tutti, ma a causa di questo mi sono un po’ messo da parte nell’ultimo anno. Ma cosa voglio io? Voglio ancora essere un corridore, ma come? Cosa vuole l’uomo Tom Dumoulin?”.
Tom Dumoulin
Oltre una certa soglia di professionismo, quando l’impegno diventa totalizzante e la sovrapposizione sport/professione è completa, è molto facile non distinguere più l’identità di atleta (Tom Dumoulin, il ciclista) e l’identità personale (Tom Dumoulin, l’uomo). Io come persona non esisto più, tutto il mio mondo gira intorno al mio essere atleta; desideri, emozioni, stanchezza, stress vengono accantonati per accontentare e confermare, sempre e comunque al top, il proprio ruolo di ciclista, come richiesto.
Poi arriva un infortunio, un problema intestinale che pregiudica una gara, la pandemia… e improvvisamente riappare “l’uomo”, con tutte le sue fragilità a renderlo unico…e umano! Lo spettro del fine carriera in questi casi è forse il minore dei mali, molto più frequente infatti è l’insorgere dei fenomeni di overtraining e burnout, o peggio ancora, il ricorso al doping.
Si può prevenire tutto ciò?
Un primo fondamentale step è lavorare sugli obiettivi.
Un buon lavoro di Goal Setting a inizio stagione è la road map che permetterà ai Team e ai singoli corridori non solo di arrivare al traguardo di fine anno, ma di affrontare tutte le difficoltà e gli imprevisti del viaggio con una bussola infallibile.
Gli obiettivi per i Team saranno certamente di risultato, ma per i corridori andranno aggiunti obiettivi di performance chiari, realistici, misurabili, sfidanti. E non solo: gli obiettivi dovrebbero essere declinati sui i tre versanti, fisico, tecnico e mentale.
Più la road map sarà dettagliata, più il corridore sarà facilitato nel seguirla. Suddividendo gli step in lungo, medio e breve termine, sarà possibile capire subito quando si sta andando fuori rotta, per correggere le tabelle di allenamento o apportare modifiche significative.
Mantenendo il focus sulla scheda obiettivi stagionale sarà molto più facile per l’atleta restare concentrato su ciò che può controllare, senza farsi sopraffare dalle aspettative esterne. E, cosa non meno importante, sarà possibile programmare tempi e spazi da dedicare alla dimensione privata, per salvaguardare l’uomo oltre l’atleta!
Erika Giambarresi
Team Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport
L’originale di questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su CyclingOn, nel mese di Febbraio 2021