Che cosa significa drop-out e perché è un fenomeno da non sottovalutare?
Il drop-out è l’abbandono dell’attività sportiva; quasi il 40% degli adolescenti italiani, nella fascia d’età 13-14 anni, non pratica alcuna attività sportiva. E la percentuale sale al 57% per quanto riguarda le ragazze.
Il dato proviene dall’edizione 2012 dell’Indagine della Società Italiana di Pediatria su Abitudini e Stili di Vita degli Adolescenti.
In età adolescenziale e soprattutto con il passaggio alle scuole medie superiore aumenta vertiginosamente l’incidenza di ragazzi che lasciano l’attività. Il fenomeno colpisce prevalentemente le ragazze.
Sono numeri allarmanti per l’impatto sociale e sanitario che questo fenomeno può implicare. Un problema cui è difficile mettere un freno, oltretutto in un periodo critico dello sviluppo: l’adolescenza, la pubertà. Purtroppo dobbiamo constatare che l’abbandono dello sport non è contrastato né dalle famiglie, né dalla scuola.
Perché i ragazzi abbandonano lo sport?
Le cause sono molte, alcune di natura che possiamo definire tecnica, come ad esempio allenamenti “scientifici” caratterizzati da eccessivo tecnicismo, ripetitività e noia. Altre cause vanno cercate nell’agonismo esasperato e centrato sul concetto di vittoria, da cui derivano il peso delle aspettative e pressioni esterne. A ciò si aggiunge l’impegno scolastico, accompagnato dall’annoso conflitto scuola/sport che nel nostro paese fatica ad estinguersi.
Ultima ma non ultima, la perdita della dimensione ludica, di gioco, divertimento, che nello sport giovanile non dovrebbe mai venire meno.
Quanto tempo occorre dedicare all’attività sportiva?
Si parla di 150-180 minuti di movimento a settimana, indicazioni dei pediatri per una vita sana. Per chi invece fa agonismo, questo può voler dire accumulare anche 2 ore in piscina o in campo tutti i giorni. Un numero che potrebbe fare impressione a chi non è avvezzo al mondo dello sport. Ma non dobbiamo dimenticare che i ragazzini si divertono, che lo sport è un modo per socializzare, costruire amicizie e, infine, che alcune discipline sportive richiedono necessariamente molte ore di allenamento. È compito degli istruttori sportivi dosare l’agonismo, le richieste di impegno e costruire proposte in modo adeguato all’età e al livello dei ragazzi.
Perché il drop-out colpisce soprattutto le ragazze?
Le ragazze raggiungono prima la pubertà. Il corpo comincia a cambiare, diventa adulto in fretta e il più delle volte ciò non va di pari passo con la maturazione psichica. Cambiano le proporzioni, il peso, subentrano le fasi del ciclo mestruale che si accompagnano a squilibri ormonali. Le ragazze si trovano a dover ricominciare da capo per familiarizzare con un corpo che non riconoscono e non risponde più come prima. E il corpo è il mezzo con cui facciamo sport, le prestazioni sportive potrebbero subire cali vistosi, con ripercussioni su autostima, motivazione e perdita di sicurezza.
Abbiamo anche stereotipi culturali con cui le ragazze si confrontano. Stereotipi che associano l’agonismo, la performance intensa, gli obiettivi sportivi e la struttura fisica muscolosa al genere maschile.
L’abbandono femminile dello sport ha ripercussioni molto negative, come la mancata autoaffermazione con conseguente bassa autostima e perdita di sicurezza, situazioni molto diffuse tra le ragazze. A volte questo si può tradurre in possibili disturbi del tono dell’umore, ansia o anche disturbi del comportamento alimentare.
Cosa può fare una madre per accompagnare la figlia in questo passaggio?
Dobbiamo sempre tenere presente che lo sport è un meraviglioso alleato educativo e in questo caso specifico è anche un ottimo aiuto per familiarizzare con il corpo nuovo.
La cosa più importante è saper cogliere i segnali di un eventuale calo motivazionale e saper come intervenire per sostenere la ragazza. Il tema dell’ascolto è fondamentale: chiedere e ascoltare, aiutare le ragazze a trovare le parole per esprimere quello che stanno provando e rassicurarle sull’andamento passeggero di questa fase. È importante anche fare leva sulle motivazioni primarie che hanno portato la ragazza a scegliere il suo sport, tornare alle origini: che cosa la appassionava, che cosa la divertiva soprattutto?
Non è detto che si debba rimanere legati al primo sport per tutta la vita. Se le motivazioni non sono sufficienti è possibile anche provare altre discipline. Il messaggio da far passare è che lo sport è divertimento, salute e soddisfazione. Insomma, se il nuoto non mi dà più tutto questo, posso provare con la pallavolo.
A chi può rivolgersi un genitore?
Con il Centro Studi facciamo molti eventi formativi nelle società sportive, dedicati ai dirigenti e agli allenatori, ma anche ai genitori. Molti si sentono impreparati ad affrontare le tempeste dell’adolescenza e confrontarsi con degli esperti ha sempre un effetto rassicurante! Per diretta esperienza, sappiamo che rivolgersi a uno psicologo dello sport fa meno paura. Lavorando su autostima, motivazione, gestione dell’ansia da un punto di vista inizialmente sport-centrico, aiuta i ragazzi a familiarizzare con queste tematiche e a trasferire gli strumenti appresi in tutti gli altri ambiti della vita, come la scuola, la relazione con i pari e con i genitori.
Come può essere di aiuto la consulenza con uno Psicologo dello Sport?
La consulenza dello Psicologo dello Sport può aiutare l’atleta e la famiglia chiarire le cause del drop out e a elaborare piani di sostegno motivazionale, se il ragazzo o la ragazza manifestano attaccamento a quella disciplina sportiva. In caso contrario lo psicologo può aiutare la famiglia ad elaborare il dropout e ad orientarsi verso altre scelte, secondo una modalità che allenti tensioni e sofferenze.
Testo raccolto da Alice Buffoni.

Dott.ssa Roberta Lecchi
Psicologa, Vice Presidente del Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport. Referente delle attività “Genitori a scuola di Sport”, docente al Master MAPS in Psicologia dello Sport.