Ashleig Barty, atleta e persona

Ashleig Barty retired
La cattiva notizia è che Ashleig Barty si ritira dal Tennis, quella buona è che il suo discorso di addio e un messaggio esemplare!

A soli 25 anni, a stagione in corso, la n°1 del Tennis mondiale annuncia il ritiro, provocando un piccolo terremoto nel mondo sportivo. Il sogno di Ashleig era vincere Wimbledon e una volta raggiunto l’obiettivo, si è accorta di provare una insoddisfazione di fondo. Ne ha parlato con il team, ha provato a continuare, ma il suo bilancio interiore con il tennis era in pari: serena, appagata, ma anche fisicamente al capolinea ha deciso di smettere per dedicarsi a nuovi progetti.

La vicenda di Ashleig Barty dimostra quanto sia importante avere ben chiari i propri obiettivi, siano essi di risultato come vincere Wimbledon, oppure di processo. Da essi dipende l’approccio all’agonismo, all’allenamento ed essi determinano l’orientamento dell’intera carriera.

Al di là del dispiacere, da tifosi, di non vedere più in campo una grande tennista, come psicologi dello sport siamo invece molto felici per un passaggio in particolare del suo discorso di addio:

«Sono così felice e così pronta, il cuore mi dice che per me come persona questa è la cosa giusta. Ora voglio godermi il prossimo capitolo della mia vita come Ash Barty persona, e non come Ash Barty atleta».


Distinguere atleta e persona non è affatto un passaggio semplice o automatico, ma è determinante per un approccio sano e costruttivo alla vita sportiva. Quando la parte Atleta diventa dominante e pervasiva, l’atleta finisce per identifcare il proprio valore come persona con la vittoria, la sconfitta o l’errore, scatenando un meccanismo di autogiudizio molto severo, che può portare a criticità importanti.

“Se l’identità è troppo sbilanciata sulla parte atleta/competizione/allenamenti/risultati e senso doveristico, la persona non riesce a vivere la socialità e le tappe tipiche legate al senso del piacere. Il proprio valore e l’autostima – spiega Lucia Bocchi – vengono associati solamente a ciò che è funzionale allo sport”.

Ruolo e identità sono due costrutti distinti in psicologia – continua Roberta Lecchi. L’identità è il nucleo stabile, coerente che mi permette di essere indipendente dai cambiamenti ambientali e contestuali. Il ruolo invece assomma comportamenti e aspettative richiesti da una determinata posizione sociale. Quando il ruolo fagocita l’identità, si crea una gabbia da cui risulta impossibile uscire. Una trappola che toglie motivazione e desiderio, insomma un esaurimento di risorse, non si ha più nulla da dare al di fuori di esso. In contesti professionali si chiama burnout“.

Per un atleta professionista non è molto diverso, con l’aggravante del rischio di incorrere in comportamenti disfunzionali pur di ritrovare o di mantenere il ruolo in cui si identifica. Pensiamo per esempio ai disturbi alimentari, al sovrallenamento, ma anche al ricorso al doping.

Per questi motivi è importante ritagliare, nella vita agonistica, degli spazi riservati ad interessi personali diversi dallo sport, coltivando le relazioni, gli hobby, ma anche, perchè no, lo studio per preparare il terreno ad una vita extra agonistica, quando la carriera sarà finita.

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